Ciao, Veronica!

Ciao!


Questa non è un'intervista formale, quindi possiamo rilassarci.

Perfetto!


Chi sei e di cosa ti occupi?

Mi chiamo Veronica, ho 23 anni e lavoro in Data da quasi due anni, precisamente da settembre, mi occupo principalmente della parte Front Office dell’azienda.


Come sei arrivata a lavorare in Data?

Ho trovato un annuncio online per una posizione da receptionist in Data, e ho deciso di candidarmi. Ho fatto un colloquio tramite agenzia, e poi altri due direttamente con Data, che sono andati bene.


Cosa hai studiato?

Ho studiato turistico a Correggio.


Perché hai scelto questo percorso?

Amo viaggiare e all'epoca mi sembrava la scelta giusta. Oggi, forse, avrei scelto qualcosa di diverso, ma all'epoca mi sentivo attratta da quel mondo.


Parlaci del tuo ruolo in Data. Di cosa ti occupi?
Lavoro part-time, principalmente la mattina per quattro ore. Rispondo alle chiamate dei clienti, capisco le loro necessità e inserisco le richieste di assistenza in un portale, che poi vengono gestite dai tecnici. Inoltre, mi occupo di una piccola parte amministrativa, come la gestione delle fatture di vendita e dei fornitori, e occasionalmente supporto Monique negli ordini di vendita. In più da pochissimo mi occupo di una parte di comunicazione insieme alla mia collega Sara.

Come ti ha fatto crescere questo lavoro?
Lavorare al telefono mi ha insegnato a capire il cliente solo attraverso la voce, il che non è sempre semplice. A volte è evidente se una persona è arrabbiata, ma altre emozioni sono più difficili da interpretare. Questo lavoro mi ha aiutato a sviluppare queste abilità.

Quali sono le difficoltà che hai riscontrato?
All'inizio è stato difficile interpretare le emozioni dei clienti solo dalla voce. Ora, però, conosco molti di loro per nome e voce, e con alcuni si è creato anche un legame personale. A differenza del mio precedente lavoro, dove i clienti venivano già arrabbiati, qui sanno che io raccolgo la loro richiesta e che non spetta a me risolvere il problema.

Come ti trovi a lavorare in Data rispetto alla tua precedente esperienza?
Entrare in Data è stata una vera boccata d'ossigeno. La mia precedente esperienza è stata difficile e non mi sentivo nel posto giusto. In Data, invece, mi sento supportata e a mio agio.

Quali sono i tuoi obiettivi futuri nel lavoro?
Vorrei avere più responsabilità e ore di lavoro. Attualmente lavoro part-time e faccio anche la babysitter, ma mi piacerebbe lavorare sei ore al giorno in Data. Vorrei crescere professionalmente e magari assumere più mansioni.

Cosa fai nel tuo tempo libero e quali sono i tuoi piani futuri personali?
Mi piace viaggiare e spero di farlo ancora di più in futuro. Sono sposata da tre anni e condivido questa passione con mio marito. Amiamo il Giappone e speriamo di visitarlo presto. Inoltre, abbiamo un cagnolino di nome Ragù, che fa parte della nostra famiglia.

Grazie, Veronica, per questa chiacchierata!
Grazie a te!

Autore: Comunicazione Data 28 ottobre 2025
In un mondo in cui le aziende generano ogni giorno quantità sempre maggiori di dati, il vero vantaggio competitivo non sta più solo nella raccolta, ma nella capacità di interpretarli e comunicarli. E qui entra in gioco la rappresentazione grafica dei dati: trasformare numeri e tabelle in immagini comprensibili, immediate e utili. Perché visualizzare i dati? Il nostro cervello è molto più veloce nell’elaborare forme e colori che non righe di numeri. Un grafico ben costruito può mostrare in pochi secondi una tendenza o un’anomalia che, in una tabella di Excel, rischierebbe di passare inosservata. In azienda questo significa: decisioni più rapide, perché le informazioni diventano accessibili a tutti, non solo agli analisti; comunicazione più chiara, anche tra reparti diversi; riduzione del rischio di errore, grazie a una lettura più intuitiva. Principi di una buona visualizzazione Non basta “mettere un grafico”: la rappresentazione dei dati è un vero e proprio linguaggio che va usato con attenzione. Alcune regole fondamentali: Scegliere il grafico giusto: Ogni dato ha la sua forma ideale. Linee per mostrare trend, barre per i confronti, torte solo quando le parti non sono troppe. Puntare sulla chiarezza: Meno è meglio. Meglio pochi grafici, semplici e leggibili, piuttosto che dashboard piene di elementi confusi. Usare i colori con criterio: Il colore deve guidare l’occhio verso ciò che conta, non decorare. Se tutto è evidenziato, nulla è davvero importante. Pensare all’utente finale: Il grafico deve rispondere a un a domanda concreta: “Sto vendendo di più?”, “Il progetto è in ritardo o in linea?”. Se la risposta non è immediata, la visualizzazione va rivista. Gli errori più comuni Grafici 3D eccessivi, che complicano invece di semplificare. Troppi dati nello stesso spazio, che creano rumore visivo. Mancanza di contesto, cioè numeri mostrati senza riferimenti o spiegazioni, che li rendono poco utili. Interattività: dal report statico al dashboard Un tempo i grafici erano “figure statiche” dentro report cartacei o PDF. Oggi, con strumenti di Business Intelligence, possiamo renderli interattivi: filtri, drill-down, cambi di prospettiva in tempo reale. Un esempio concreto è Microsoft Power BI, che permette di collegare dati provenienti da fonti diverse e trasformarli in dashboard navigabili. Non si tratta solo di estetica, ma di offrire alle persone la possibilità di esplorare i dati in autonomia e trovare le risposte alle proprie domande. Cultura dei dati: oltre lo strumento Però attenzione: non basta avere lo strumento migliore. Serve anche una cultura dei dati. Significa: formare le persone a leggere i grafici in modo critico,  garantire la qualità dei dati, incentivare i team a usare davvero queste informazioni nei processi decisionali quotidiani. Conclusione La rappresentazione grafica dei dati è molto più di un vezzo estetico: è il ponte che trasforma informazioni grezze in insight strategici. In un contesto aziendale fatto di velocità, complessità e competizione, imparare a raccontare i dati in modo chiaro è una competenza imprescindibile. Che si tratti di un semplice grafico a barre o di un dashboard interattivo creato con Power BI, la regola rimane la stessa: non basta mostrare i dati, bisogna renderli comprensibili e utili.
Autore: Comunicazione Data 24 settembre 2025
Nel podcast di Data Carpi abbiamo introdotto l’argomento intelligenza artificiale, cercando di spiegare in modo semplice cos’è e come già oggi entra nelle nostre vite. Ma un episodio non basta per affrontare un tema così vasto e ricco di sfaccettature. Ecco perché questo articolo vuole essere un approfondimento: non una lezione tecnica, ma un racconto discorsivo che aiuti a capire meglio le potenzialità e i limiti dell’AI, e soprattutto a immaginare cosa può significare per un territorio come il nostro. Oltre i luoghi comuni Quando si parla di intelligenza artificiale, spesso emergono due visioni opposte: da un lato l’entusiasmo esagerato, quasi da fantascienza, dall’altro la paura che “le macchine ci ruberanno il lavoro”. La realtà, come spesso accade, sta nel mezzo. L’AI non è magia, ma tecnologia. È fatta di dati, algoritmi e calcoli matematici che permettono a un computer di riconoscere schemi, fare previsioni, proporre soluzioni. Questo significa che la sua efficacia dipende molto da ciò che le mettiamo dentro: se i dati sono scarsi o distorti, anche i risultati lo saranno. È un po’ come una ricetta: se gli ingredienti non sono buoni, anche il piatto finale deluderà. Le sfide nascoste Dietro le promesse dell’AI ci sono alcune sfide importanti che è giusto conoscere. La qualità dei dati : avere tanti dati non basta, serve che siano corretti, aggiornati e rappresentativi. La trasparenza : molti sistemi funzionano come “scatole nere”, producono un risultato senza che sia chiaro il perché. In certi settori, come la sanità o la pubblica amministrazione, questo è un problema serio. La privacy : viviamo in un contesto in cui la protezione dei dati personali è un diritto e un dovere, regolato da norme come il GDPR. Ogni progetto basato su AI deve tenerne conto. Non sono ostacoli insormontabili, ma richiedono attenzione e responsabilità da parte di chi sviluppa e di chi utilizza queste tecnologie. Dove l’AI può fare davvero la differenza Nonostante le complessità, le applicazioni dell’AI sono già realtà e possono portare benefici concreti. Nelle aziende manifatturiere si parla di manutenzione predittiva : grazie a sensori e modelli matematici è possibile anticipare un guasto e ridurre i tempi di fermo macchina. Nei servizi al cittadino, chatbot e sistemi intelligenti possono migliorare l’accesso alle informazioni e ridurre le attese. Anche il mondo artigiano e creativo trova nuove possibilità: strumenti che generano prototipi, analisi dei trend di mercato, soluzioni per personalizzare l’offerta. Queste non sono visioni lontane: sono già disponibili, e molte imprese stanno iniziando a sperimentarle. L’impatto sul lavoro e sulla comunità Uno dei temi più discussi riguarda il lavoro. È vero, alcune mansioni ripetitive verranno progressivamente automatizzate. Ma allo stesso tempo nasceranno nuove figure professionali: servono persone in grado di gestire, interpretare e controllare l’AI. Non basta avere la tecnologia, bisogna saperla guidare. Per questo la formazione diventa centrale: scuole, università, enti locali hanno il compito di preparare le competenze necessarie. Un territorio come Carpi può giocare un ruolo importante, investendo in percorsi che uniscano tradizione e innovazione, saper fare artigiano e competenze digitali. Perché Data può essere protagonista L’Emilia-Romagna è già un distretto tecnologico e manifatturiero riconosciuto a livello europeo. Carpi, con il suo tessuto di piccole e medie imprese, ha molto da guadagnare dall’adozione intelligente dell’AI. Non si tratta solo di “stare al passo coi tempi”, ma di usare questa tecnologia per rendere più efficienti i processi, più sostenibile la produzione, più competitivi i prodotti sul mercato globale. Immaginiamo un’azienda tessile che, grazie a strumenti di analisi predittiva, riduce gli sprechi di materiale; o una cooperativa che usa l’AI per comprendere meglio i bisogni dei clienti e offrire soluzioni personalizzate. Non sono scenari fantascientifici, sono possibilità reali che possono rafforzare il territorio. Conclusione L’intelligenza artificiale non è solo una moda tecnologica: è uno strumento che, se usato con responsabilità, può migliorare la qualità del lavoro, dei servizi e della vita delle comunità. Non basta l’entusiasmo e non serve farsi prendere dal timore: ciò che conta è conoscere, sperimentare e formarsi.  Per noi di Data Carpi la sfida è questa: raccontare l’AI in modo chiaro, accessibile e utile a chi vive e lavora qui. Perché il futuro non è scritto nei laboratori delle grandi multinazionali, ma anche nelle scelte quotidiane delle imprese e delle persone del nostro territorio.